QUANTO AIUTARE I FIGLI?
“Troppo è nemico di meglio”: se aiutare i figli è una sana propensione genitoriale, cercare, invece, di eliminargli tutte le difficoltà nel tentativo di rendergli la vita più facile, fino a intervenire direttamente nelle loro faccende al posto loro, può avere effetti deleteri. Infatti, quanto più si ridurranno i disagi e si annulleranno le sofferenze e le paure, tanto più si cresceranno figli incapaci di fronteggiare dolori e difficoltà a cui la vita inesorabilmente prima o poi metterà di fronte. È questo il paradosso della ricerca del benessere che le famiglie iperprotettive si trovano a vivere. Purtroppo, nella pratica clinica ho potuto appurare come questa modalità genitoriale sia di gran lunga la più diffusa oggigiorno. Il figlio viene superinvestito ed elevato a simbolo del valore positivo o negativo dell’intero nucleo familiare: un suo successo o insuccesso (scolastico o sportivo ad esempio) o una sua anormalità (troppo grasso, denti “storti” ecc.) qualifica o squalifica il genitore che così non potrà non intervenire per difenderlo e soprattutto per difendersi. Così facendo però non risolveranno le problematiche dei figli, finendo spesso per aggravarle.
Da un punto di vista comunicativo-relazionale, la sovrabbondanza di cure, infatti, veicola un implicito messaggio d’amore: “faccio tutto per te perché ti amo”; ma questo contiene al suo interno anche una sottile squalifica: “faccio tutto per te perché forse da solo non ce la faresti”. Proprio questo secondo messaggio sotteso potrà veicolare la sensazione o il sospetto nel figlio di essere un incapace fino a renderlo tale, realizzando così la nefasta profezia. I figli si ritroveranno quindi all’interno di un circolo vizioso dove, sempre meno chiamati a rendere conto delle proprie azioni, saranno portati a chiedere sempre più spesso l’intervento dei propri genitori. Più chiederanno aiuto e più lo otterranno, andando così a confermare l’idea che ciò sia indispensabile. Non accetteranno più le frustrazioni e probabilmente inizieranno a reagire con aggressività se i propri bisogni e desideri non saranno soddisfatti. Quanti adolescenti di oggi sono così?
Gli inglesi hanno coniato un nuovo termine per questi genitori: snowplough parents, letteralmente “genitori spazzaneve”, perché ripuliscono ogni cosa davanti ai loro figli in modo che nulla possa andare loro storto e possa minacciare la loro autostima. Spesso sono madri e padri che rifiutano l’idea che i propri pargoli possano soffrire; sono impreparati ad affrontare gli insuccessi dei figli, non vogliono trovarcisi perché non sanno come uscirne. È come se dicessero: «Non create problemi a mio figlio perché così li create a me». E allora, la tentata soluzione più facile da adottare è dire sempre sì, spianare loro la strada: sono “genitori non genitori” che rinunciano a priori ad educare i propri figli cercando di semplificare loro tutto. Il che si traduce in bambini iperprotetti che diventano incapaci di affrontare un fallimento: se si evita ad un figlio di soffrire, questi non imparerà a gestire la sofferenza; se lo si protegge da ogni timore, non imparerà a superarne alcuno e non sarà in grado di costruire la sua resilienza.
Anche se per molte persone è ancora oggi improponibile pensare che troppo amore possa ammorbare, l’evidenza dei fatti ci dice invece che il troppo amore, quando si trasforma in compassione, diviene dannoso per la crescita dei figli.
Seguendo allora l’antico stratagemma cinese “lanciare il mattone per avere indietro la giada” potremmo iniziare a boicottare volontariamente e quotidianamente una nostra piccola azione protettiva, affinché i nostri figli possano costruirsi le proprie risorse e la personale capacità di resilienza, fino a rendere questo circolo di aiuti non più vizioso ma virtuoso.