LE BIZZARRIE DEL RUGBY

Grazie a mio figlio, nell’ultimo anno, ho potuto conoscere ed apprezzare il rugby da genitore spettatore. Questo nuovo ruolo mi ha portato a fare nel tempo alcune riflessioni che desidero condividere soprattutto per le apparenti stranezze che questo sport porta con sé.  Ne sono usciti 10 punti interessanti che spero possano aiutare a non fermarsi dinnanzi agli aspetti più rugosi del rugby ma a considerare i numerosi benefici che questo sport può offrire.

10 BIZZARRIE DEL RUGBY:

  1. Passare all’indietro: la regola che impone di poter passare il pallone solo ai giocatori che stanno dietro è alquanto particolare, ma permette ai giocatori di concentrarsi solo su chi ci sta davanti (per affrontarlo se è un avversario o sostenerlo se è un compagno) e consente a chi è davanti di sentire tutto il supporto della squadra dietro di lui. Aiuta i bambini a sviluppare la fiducia: quella che nutriamo verso gli altri e quella che gli altri nutrono verso di noi.
  2. La palla è ovale: nel rugby, come nella vita, è impossibile sapere in anticipo che cosa potrà accadere quando la palla rimbalza. Questo obbliga a fare i conti con l’impossibilità di poter tenere tutto sotto controllo, accontentandoci solo di poter “influenzare” l’andamento del pallone. Prepara i  bambini a gestire l’incertezza.
  3. Multidisciplinare: il rugby coinvolge una vasta gamma di abilità, come il saltare, il correre, il passare, il prendere, il placcare e molto altro. Dalla categoria Under 12 sarà, inoltre, possibile giocare il pallone anche con i piedi. I bambini che giocano a rugby si allenano quindi come dei decatleti, poiché devono imparare a padroneggiare molteplici competenze diverse.
  4. Caos e ordine: Il rugby è noto per le mischie, che possono sembrare caotiche, ma che in realtà sono il risultato di regole rigorose e equilibri attentamente calcolati. Queste situazioni richiedono una notevole lucidità, sensibilità e coordinazione tra i giocatori.  Grazie allo sforzo e alla fatica che la mischia richiede i bambini possono sviluppare una fratellanza ed una solidarietà proverbiali.
  5. Contatto fisico con tatto: il rugby è l’apoteosi del contatto fisico, ma non è violento. Si incoraggia il contatto fisico “duro” ma è escluso del tutto l’uso gratuito e insensato della forza, ossia la violenza. È proprio perché la forza è ammessa che questa viene da tutti strettamente controllata. Il placcaggio, quindi, nei bambini diviene quasi una forma di abbraccio, dove la tecnica consente di minimizzare gli esiti traumatici per placcatore e placcato. I piccoli rugbisti imparano da subito come cadere in sicurezza e come fermare l’avversario senza fare o farsi del male.
  6. Uniti in tribuna: lo scontro fisico e l’uso della forza sono permessi ed incoraggiati in campo, eppure sulle tribune non c’è contrapposizione tra tifoserie avversarie, questo a tutti i livelli, dal campetto al campionato di serie A o top 10. Anche nelle massime serie il rugby, infatti, vanta l’assenza di problemi di ordine pubblico tra tifoserie opposte. Al campetto i genitori assistono insieme alla partita e pur incitando i propri figli sono subito pronti ad applaudire la squadra avversaria se raggiunge una meta. C’è un sano agonismo che non è mai contrapposizione violenta, verbale o fisica.
  7. Il terzo tempo: finiti i due tempi regolamentari della partita ci si ritrova tutti insieme a mangiare e fare festa nel cosiddetto terzo tempo, dando così modo a tutti i bambini di conoscersi e fare amicizia senza alcuna barriera. In campo si lotta per la propria squadra contrapposti a quella avversaria, ma finiti i tempi regolamentari ci si ritrova insieme a festeggiare. Questa tradizione contribuisce nei ragazzi ad eliminare la paura dell’altro e unisce tutti nello sport.
  8. Sporchi alla meta: il rugby è noto come uno sport di “botte e fango“. Anche se alcune mamme potrebbero preoccuparsi di dover lavare l’abbigliamento dei propri figli, vi invito a considerare i benefici a lungo termine che questi ricevono e l’impagabile divertimento che i bambini traggono dal giocare nel fango. Tutto ciò li rende più resilienti, insegna loro che le cadute non sono irreparabili, che ciò che conta davvero è rialzarsi, anche se sporchi.
  9. Educare e non allenare: nel rugby gli allenatori dei bambini sono chiamati “educatori”, questo a sottolinearne la funzione più ampia che comprende non solo l’aspetto agonistico sportivo ma anche l’obiettivo di promozione dello sviluppo di competenze quali la coordinazione, l’equilibrio, il controllo, la resistenza, la reattività, la rapidità, la disciplina, la dedizione. Inoltre, le regole di gioco sono differenziate per categoria dai 5 ai 14 anni. Questo permette di sviluppare una vera e propria progressione di difficoltà per età, basata più sulla “voglia di divertirsi” che su rigide applicazioni schematiche del gioco del rugby.
  10. A misura di bambino: le categorie Under 6 e Under 8  sono caratterizzate da un gioco semplice, dinamico e divertente, rispettoso delle capacità psico-fisiche del bambino e delle sue aspettative: un numero di giocatori limitato, sostituzioni illimitate, incontri diretti da educatori abilitati e non arbitri per avere in campo esperti del rapporto con i bambini, in grado di percepirne eventuali problemi e difficoltà tecniche. Le competizioni organizzate per queste età privilegiano la formula del “Torneo a concentramento” con più incontri nella stessa giornata e tempo di gioco variabile in rapporto al numero degli incontri, dove é più facile alternare vittorie e sconfitte ridando il giusto valore al “confronto”. Nelle competizioni dei bambini più piccoli, inoltre, il punteggio non viene neppure registrato, perché l’accento è posto sullo sviluppo delle abilità psicofisiche, mentali e soprattutto morali e non sulla vittoria.

Il rugby è un’opportunità straordinaria per i bambini di crescere e svilupparsi in un ambiente sano che promuove il rispetto, il controllo di sé e la resilienza, favorisce le relazioni e aiuta a superare paure e timori. 

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