Intervista del 27 marzo 2020.
In questo periodo le persone che più amiamo potrebbero diventare quelle che più odiamo?
È indubbio che in queste settimane di isolamento sociale si discuta di più in casa, se non altro perché si hanno molte più occasioni per farlo. Quelle che erano delle lievi difficoltà relazionali, complice la forzata convivenza, possono tendere a divenire dei conflitti molto più profondi. Si pensi a quelle coppie che non erano abituate a stare vicini per così tante ore o che vivevano una situazione di conflittualità e che oggi si trovano a dover forzatamente convivere tutto il giorno senza più nemmeno le “strutture dissipative”, così si chiamano tutte quelle occasioni che diluivano le tensioni, quali il lavoro, gli spostamenti la scuola, la palestra, ecc.. L’etologo Konrad Lorenz scriveva che quando individui della stessa specie si trovano a dover condividere uno spazio limitato finiscono per aggredirsi, e in una situazione come quella che stiamo vivendo è decisamente probabile che si possa tendere a divenire più reattivi, se non addirittura aggressivi, finendo per provare o indurre gli altri a provare verso di noi sentimenti negativi, anche di odio.
Il supporto psicologico può diventare fondamentale per chi ha difficoltà ad affrontare l’isolamento, in che modo?
Il meccanismo dell’ansia è un meccanismo fisiologico e adattivo, che attiva l’organismo di fronte ad un allarme rendendoci migliori, più capaci e reattivi. Oltre una certa soglia però può provocare incapacità di reagire in modo adeguato e sofferenza, mandando l’organismo in totale stress psicofisico. Ma di fronte ad una situazione incontrollabile come quella che stiamo vivendo, dove possiamo solo scegliere di adottare precauzioni che non rassicurano rispetto alla possibilità di essere contagiati, dove la scienza e la tecnologia non hanno ancora strumenti per controllare questa pandemia, questa sensazione di impotenza non produce in noi ansia, ma angoscia, ovvero una paura ben peggiore, poiché è una paura che deprime poiché non possiamo fare niente per cambiare le cose. Il supporto psicologico può essere utile per mitigare questi effetti. Non mi riferisco qui ad un intervento psicoterapico in senso stretto ma ad un accompagnamento caldo ed empatico, accogliente e mai squalificante, che sappia far sentire le persone comprese ed accolte aiutandole a riconoscere ed affrontare l’angoscia che la situazione inevitabilmente genera.
Questa situazione di forzato isolamento può rivelarsi utile anche come mezzo per iniziare un viaggio all’interno di sé, per occuparsi di aspetti che solitamente, rapiti dalla routine quotidiana, tralasciamo, così da poterci trovare domani più forti di prima, più resilienti e capaci di affrontare le nuove sfide che il post emergenza ci riserverà. Il supporto psicologico, inoltre, potrà essere molto utile a medici, infermieri ed operatori sanitari che lavorano da settimane senza sosta, secondo i ritmi dettati da un’emergenza fino a ieri sconosciuta e inattesa e di cui nessuno conosce la durata; può essere di grande aiuto sia per chi oggi comincia ad avere dei segnali di cedimento, così da scongiurante l’insorgere di disturbi più seri in un secondo momento, che per prevenire gli esiti di probabili eventi poli-traumatici in quei medici sottoposti a prolungato stress emotivo e che oggi non sentono ancora ciò che stanno provando. Come ricorda il prof. G. Nardone, “Le ferite del guerriero si sentono una volta finita la battaglia”.
Come sta seguendo i suoi pazienti?
Attualmente tutta la mia attività clinica e di supporto psicologico si è spostata completamente su modalità non presenziali grazie alle possibilità che le moderne tecnologie ci offrono. Questa non è una pratica per me usuale, ma in questo momento dove per il bene di tutti è necessario dimostrarsi flessibili e capaci di adattarsi ho ritenuto doveroso fare la mia parte. Alcuni percorsi consulenziali, in accordo con i pazienti, sono stati rimandarti al post emergenza, in altri casi invece abbiamo concordato di passare alla modalità online tramite videochiamate. Le confido che temevo che questa proposta, lontana dal mio sentire, potesse essere vissuta come eccessivamente distante dalle persone che seguo, che il video costituisse una fredda separazione che rende difficile l’incontro, invece ha permesso in taluni casi di entrare ancora più in contatto: in questo momento dove non era possibile altro ho potuto rivedere le persone che seguo in casa loro, assieme ai loro animali domestici, ho potuto parlargli mentre erano comodamente sedute sul loro divano, o al tavolo da pranzo o nella stanza stireria dove si erano rifugiate per avere un po’ più di privacy, creando così un clima che ha superato le difficoltà del nuovo mezzo.
Cosa consiglia di fare per sopravvivere all’isolamento con il minor stress possibile?
In questo nuovo contesto dove l’emergenza da Coronavirus ci ha reso tutti più sospettosi nei confronti del prossimo, anche più suscettibili nei rapporti sia intra- che extra-familiari suggerisco di prescriverci una piccola azione gentile al giorno: potremmo essere gentili con i nostri familiari, con chi incontriamo in fila al supermercato o con il collega che vediamo in videoconferenza. Praticare azioni volontarie di gentilezza produce migliori relazioni e un miglior stato psicofisico individuale riducendo il rischio di incrementare sentimenti di rabbia o odio.
Suggerisco inoltre di concentrare la propria attenzione sui piccoli passi concreti da compiere ogni giorno a livello individuale nella gestione di questa emergenza, attenendoci scrupolosamente alle normative nazionali e regionali, rimanendo a casa per quanto più sia possibile, seguendo comportamenti igienici adeguati, mantenendo le distanze di sicurezza qualora si incontri qualcuno, in vista del benessere di tutti.
Il tempo di forzata permanenza in casa può, inoltre, essere utilizzato in senso positivo, investendolo in attività quali la lettura o la scrittura, per dedicarci ad attività che amiamo, per recuperare tempo in famiglia, con i figli, per mantenere la socialità con videochiamate, fare attività fisica.
Bisognerebbe parlarne limitatamente, confinando la ricerca di notizie in certi spazi, perché parlare in continuazione della pandemia o cercare compulsivamente informazioni alimenta un’iperbole negativa.
Suggerisco infine di scrivere per affrontare la paura, ma anche per far defluire la rabbia (o il dolore per la perdita di una persona cara), così da canalizzare queste emozioni che non possono essere razionalizzate ma che devono essere veicolate e concesse a sé stessi.
Cosa potrebbe comportare l’isolamento in soggetti che già hanno un supporto psicologico?
Questa emergenza ha cambiato completamente il contesto e con esso tutte le difficoltà dei pazienti. Come clinici questa emergenza ci pone di fronte ad uno scenario completamente diverso, dove i vecchi paradigmi non calzano più alla realtà attuale. Per fare qualche esempio: coloro che provano una sensazione di paura o grave disagio in ambienti non familiari o in ampi spazi all’aperto, così come chi teme gli spostamenti in auto, treno e aereo, oggi deve stare forzatamente a casa vedendo così “superata” la loro fobia; gli ossessivi dell’igiene diventano oggi, invece, dei maestri di buone pratiche, così come raccomandato dall’OMS; chi teme il confronto sociale o è in difficoltà nelle relazioni, adesso che queste sono mitigate dalla limitatezza ed esclusione dei normali contatti, può sentirsi al sicuro… È chiaro quindi come questa condizione stravolga completamente tutto quello che poteva valere fino ad un mese fa. Questo ci chiama oggi ad una enorme flessibilità e ritengo che molto ci attenderà quando questa emergenza sarà finita, purtroppo non sembra ciò possa avvenire molto presto.
Consigli per restare positivi e felici?
In questo momento dove tutto il mondo è spaventato e vive nella paura e nell’angoscia per la salute delle persone, vittime di una sempre più diffusa ed incontrollabile infodemia cioè di un bersagliamento di informazioni eccessivo e spessissimo poco accurato o vagliato scientificamente, preoccupati per gli effetti economici del lock down conseguente a questa pandemia, in questa situazione di distanziamento sociale e di confinamento domestico e dal profilo così incerto come si può restare positivi e felici? L’incertezza ci spinge a cercare certezze che non ci sono ancora, amplificando l’angoscia. La nostra naturale tendenza al controllo si scontra con l’impossibilità di controllare un nemico invisibile e subdolo. Dovremmo riuscire a normalizzare per quanto possibile la sensazione di disagio perché inevitabilmente questa porterà con sé momenti di sconforto accompagnati ad altri di apparente quiete. Evitiamo di cercare risposte che ora non ci sono. Restiamo a casa e pensiamo più forte a quando tutto questo finirà provando a progettare oltre la fase di emergenza.
Consiglia attività particolari da svolgere insieme individualmente?
Oltre ai suggerimenti prima ricordati, vorrei aggiungere che in questa condizione dove non ci è permesso uscire potremmo portare in casa alcune delle attività che normalmente si svolgono fuori… ad esempio organizzando un picnic in salotto, giocando con i figli a fare la spesa o invitando gli amici ad un party online. Queste attività potranno rivelarsi molto utili per noi e per i bambini che assieme a noi sono costretti al confino entro le mura domestiche. Ricordiamoci, infatti, che i bambini sono reclusi come noi in casa, lontani dagli amici, dalla scuola, spesso dai nonni e da tutte quelle piacevoli attività extracurricolari. Dovremo quindi pensare anche al loro tempo, costruendo dove necessario una nuova routine giornaliera (le routine sono tranquillizzanti), ma soprattutto offrendoci a loro in modo autentico, rassicurante e sincero. I bambini, come gli adulti, percepiscono quando una persona a cui vogliono bene dice loro una cosa pensandone un’altra, e ciò provoca in loro un senso di smarrimento profondo. In questo tempo di attesa è importante che i bambini siano ascoltati e che siano dati loro spazi dove poter esprimere i vissuti emotivi senza minimizzarli o allarmarsi eccessivamente, coinvolgendoli magari in comunicazioni calibrate sulla loro capacità di comprensione così che possano accedere ad informazioni utili a contestualizzare quanto sta accadendo, ma evitando di parlare sempre e solo di Coronavirus. Se esposti, come probabilmente sarà, a telegiornali o trasmissioni informative ricordiamoci di mediare le informazioni che potrebbero ascoltare e che forse non comprendono o comprendono solo parzialmente, magari chiedendogli cos’hanno capito. Non dimentichiamoci di promuovere in loro l’aderenza alle prescrizioni (lavarsi le mani, starnutire sulla piega del gomito ecc.) attraverso il nostro esempio: laviamoci tutti assieme le mani, chiediamo loro di correggerci quando siamo noi per primi a dimenticarcelo, creando anche in questo caso delle routine. Infine, non rinunciamo mai alla funzione genitoriale: anche se può essere normale in questa fase sentirsi più disponibili ad accettare compromessi, non dovremo stravolgere le regole considerate non negoziabili, fornendo ai bambini un contesto il più normale e comprensibile possibile, se pur nella straordinarietà della situazione, sempre in continuità con quanto abbiamo costruito assieme a loro.