“La Torre Eiffel si trova in Francia.” Vero o falso?
La maggior parte di noi risponderà a questa domanda rapidamente e con precisione, facendo affidamento sulle proprie conoscenze generali. Ma cosa succederebbe se venisse chiesto di prendere in considerazione l’affermazione: “L’alveare è un edificio della Nuova Zelanda”? A meno che non abbia visitato la Nuova Zelanda o visto un documentario su quel Paese, probabilmente questa sarebbe una domanda difficile. Così, per rispondere alla domanda, invece di recuperare le nozioni di cultura generale, ti troverai ad utilizzare l’intuizione. In altre parole, potrai contare su ciò che Stephen Colbert chiama “truthiness”: la verità che proviene dall’intestino, e non dai libri.
Quando ci troviamo a dover decidere se una cosa è vera o falsa basandoci sull’intuizione, ci esponiamo all’errore. La psicologa cognitiva Eryn Newman (University of California), ci spiega in un interessante articolo sul The Washington Post, attraverso quali inganni della mente finiamo per convincerci di cose non vere, o ricordare cose mai accadute attraverso “intuizioni” che influenzano il nostro giudizio di verità.
Dagli studi condotti dalla ricercatrice emerge, infatti, come i nostri giudizi siano influenzati dalla “facilità di elaborazione” che forse ci spinge a credere che quell’informazione sia familiare e quindi vera. Secondo l’autrice, le parti più paleo-encefaliche elaborano la sensazione di familiarità come segnale di cui ci possiamo fidare, mentre le informazioni di difficile comprensione vengono giudicate come segnali di pericolo. Le scritte che contrastano molto con lo sfondo, i nomi facili o quelli accompagnati da una foto vengono avvertiti dalla nostra mente come più facili da elaborare e quindi più attendibili.
Questa sensazione di familiarità ci potrebbe quindi influenzare in una varietà di contesti: in una testimonianza in un’aula di tribunale, nello scegliere un candidato piuttosto che un’altro, nell’acquisto di un prodotto.
Quindi, come possiamo evitare di essere ingannati da un falso senso di “truthiness”? Purtroppo la ricerca in psicologia cognitiva ha dimostrato più volte come le persone siano spesso inconsapevoli dei propri pregiudizi o di come l’informazione influenzi i loro giudizi. L’autrice ritiene sia possibile solo mettere in guardia le persone circa l’influenza dei nomi e delle foto per renderle un po’ più caute nell’affidarsi ai propri giudizi, cercando qualche verità in più che venga dai fatti, e non dall’intestino.
Leggi l’articolo completo sul The Washington Post.