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Psicologo e Psicoterapeuta, specializzato in Terapia Breve Strategica, Psicoterapeuta ufficiale del Centro di Terapia Strategica di Arezzo diretto dal prof. G. Nardone, docente, formatore e ricercatore CTS, perfezionato in ipnosi strategica; riceve a Vicenza in contrà Santa Corona, San Bonifacio (VR) e Montecchio Maggiore (VI).

INTERVENTI:

  • psicoterapia per la soluzione in tempi brevi di numerosi disturbi di tipo psicologico, psicopatologico e relazionale
  • consulenza breve rivolta a singoli, coppie e/o famiglie
  • consulenza in ambito educativo (scuola, insegnanti, educatori, studenti, etc.)
  • consulenza in ambito sportivo o artistico per l’incremento della performance o il superamento di un blocco
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“Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettare risultati diversi”. Albert Einstein

PSICOTERAPIA

La Terapia Breve Strategica è un approccio originale alla formazione e alla soluzione dei problemi umani caratterizzata da specifici fondamenti teorici e da applicazioni in costante evoluzione sulla base della ricerca empirica. Si tratta di un intervento terapeutico breve (al di sotto delle 20 sedute) che si occupa sia di eliminare i sintomi e i comportamenti disfunzionali che affliggono la persona, che di produrre il cambiamento delle modalità attraverso le quali questa costruisce e gestisce la propria realtà personale e interpersonale.

Di conseguenza, la Terapia Breve Strategica rappresenta un intervento radicale e duraturo e non una terapia superficiale o meramente sintomatica.

Il terapeuta strategico non si basa sulle classiche definizioni relative alla “normalità” o alla “patologia” psichica. Fulcro del suo interesse è, piuttosto, la “funzionalità” o “disfunzionalità” del comportamento delle persone e del loro modo di rapportarsi con la propria realtà.

COME NASCE UN PROBLEMA?

Di fronte a una difficoltà da risolvere -sia essa individuale, relazionale o professionale- tendiamo a utilizzare una strategia che ci appare produttiva; magari perché ha funzionato nel passato per un problema simile. Capita però, talvolta, che la strategia scelta che ritenevamo essere la più logica non abbia l’esito sperato nell’immediatezza e che il suo non funzionare come ci saremmo aspettati ci porti ad intensificare i nostri sforzi, persistendo in quella direzione percepita come l’unica possibile.
A questo punto, senza che ce ne accorgiamo, la difficoltà iniziale non solo non si risolve, ma si complica, divenendo un vero e proprio problema strutturato.
In altri termini, sono proprio gli sforzi messi in atto dal soggetto e dalle persone a lui vicine in direzione del cambiamento a mantenere/peggiorare la situazione, ovvero le tentate soluzioni disfunzionali. La persona riconosce spesso questi tentativi di soluzione come non funzionali, ma non può fare diversamente, sviluppando così una radicata sfiducia nelle possibilità di un cambiamento della propria situazione problematica.

COME SI RISOLVE UN PROBLEMA?

Da un punto di vista strategico, per risolvere un problema non occorre svelarne le cause originarie risalendo ad un fantomatico passato (che peraltro non può essere cambiato), bensì si lavora su come esso si mantiene nel presente, grazie alla ridondante ripetizione delle “tentate soluzioni”.
Per questo motivo il primo obiettivo di una terapia strategica consiste nel provocare una rottura del circolo vizioso stabilitosi tra le tentate soluzioni e la persistenza del problema, lavorando sul presente piuttosto che sul passato, su “come funziona” il problema, piuttosto che sul “perché esiste”, sulla ricerca delle “soluzioni” piuttosto che delle “cause”.

Scopo ultimo dell’intervento terapeutico diviene quindi il cambiamento del punto di osservazione del soggetto dalla sua posizione originaria e disfunzionale a una prospettiva più elastica e funzionale e con maggiori possibilità di scelta all’interno di un ventaglio di diverse possibili strategie risolutive. Per raggiungere questo obiettivo nella maniera più efficace e rapida possibile, l’intervento strategico è di tipo attivo, prescrittivo e persuasorio al tempo stesso e produce risultati sin dalle prime sedute.
Se questo non avviene, essendo il modello autocorrettivo, il terapeuta è comunque in grado di modificare la propria strategia sulle base delle risposte date dal paziente, fino a trovare quella idonea a guidare la persona al cambiamento definitivo della propria situazione problematica.

“Ogni problema profana un mistero; a sua volta il problema è profanato dalla sua soluzione.” E. M. Cioran

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DOMANDE FREQUENTI

1) Quanto dura una psicoterapia?

La terapia breve strategica è un intervento psicoterapico focale breve che in genere non supera le 20 sedute. I primi sostanziali miglioramenti del problema presentato (se non la sua totale risoluzione) devono avvenire entro le prime 10 sedute. Nella maggior parte dei casi tale forma di intervento induce i primi cambiamenti già a partire dalle prime sedute del trattamento.

2) Le sedute sono settimanali?

Nelle prime fasi del trattamento, le sedute possono essere sia a cadenza settimanale che quindicinale, a seconda del tipo di problema presentato e delle esigenze della persona stessa. Ottenuto il primo sostanziale miglioramento, ovvero lo sblocco del disturbo, le sedute vengono distanziate al fine di permettere alla persona di sperimentare le ritrovate risorse e capacità nella propria vita quotidiana senza che si crei un forte vincolo con la figura del terapeuta. La terapia si conclude con tre controlli (follow-up) condotti in genere a distanza di tre mesi, sei mesi e un anno dalla fine della terapia per verificare il mantenimento del risultato nel tempo.

3) Quanto dura una seduta?

La seduta si concluderà solo dopo aver raggiunto tutti gli obiettivi previsti, con la massima flessibilità nella durata. La durata di una seduta strategica non è predeterminata e/o predeterminabile, ma varia di volta in volta a seconda delle esigenze della terapia, della persona in terapia, della fase del trattamento in cui si trova e del tipo di problema presentato. La durata della seduta può quindi variare da un’ora a venti minuti, a seconda della valutazione del terapeuta riguardo all’avvenuto raggiungimento degli obiettivi di ciascun incontro.

4) I risultati sono duraturi nel tempo?

I risultati delle ricerche effettuate su oltre diecimila casi che si sono sottoposti alla terapia breve strategica negli ultimi venticinque anni hanno mostrato non solo un’elevata efficacia dell’intervento valutata alla fine del trattamento (positiva nell’87% dei casi con una durata media della terapia al di sotto delle 10 sedute), ma anche e soprattutto il mantenersi di tali risultati nel tempo, come emerso chiaramente dai follow-up condotti generalmente a distanza di tre mesi, sei mesi e un anno dalla fine della terapia (Castelnuovo et al., 2013 in Dizionario Internazionale di Psicoterapia, Garzanti, Milano).

5) Si prevede l’utilizzo di farmaci?

Terapia senza l’uso di farmaci

La terapia breve strategica è un intervento di tipo psicoterapico e, come tale, non prevede farmaci. Qualora il paziente arrivasse con una cura farmacologica in corso, sarà preoccupazione del terapeuta giungere – negli ultimi stadi della terapia – a metterlo in grado di interrompere completamente l’utilizzo. Questo avviene, generalmente, in tutti i casi di disturbi d’ansia (ansia generalizzata, attacchi di panico, ossessioni, compulsioni, agorafobia e altre fobie), disordini alimentari o depressione reattiva, quando giungono in terapia con una cura farmacologica in corso. In questi casi, liberare la persona dalla dipendenza dal farmaco rappresenta uno dei compiti principali del terapeuta e un aspetto fondamentale per potere dichiarare la terapia conclusa efficacemente.

7) Credo che un mio familiare abbia dei problemi che potrebbero essere risolti con l’approccio strategico, ma la persona in questione non vuole rivolgersi ad uno specialista. Cosa posso fare?

Si tratta di un’eventualità piuttosto frequente anche e soprattutto nel caso di problematiche fortemente impedenti, come per disturbi relazionali o disordini alimentari. In questi casi la famiglia può svolgere un ruolo fondamentale e determinante nel trattamento del disturbo se adeguatamente indirizzata. Il terapeuta strategico è solito fare un primo incontro con la o le persone che lamentano il problema e valutare con lei o loro cosa sia possibile fare per intervenire. Verranno quindi date indicazioni su come cercare di coinvolgere chi presenta il disturbo nella terapia, oppure si opterà per una terapia indiretta che consiste nel fornire indicazioni concrete ai familiari su come comportarsi relativamente alla persona e al disturbo in questione. In seguito a questo intervento può accadere che il “paziente in contumacia” decida di entrare in terapia; negli altri casi la terapia procede solo in maniera indiretta.

8) Il trattamento è puramente sintomatico? E se sì, c’è il rischio che una volta risolto un sintomo si vada incontro a sintomi sostitutivi?

Non è un approccio puramente sintomatico. La Terapia Breve Strategica si occupa da una parte di eliminare i sintomi o i comportamenti disfunzionali per i quali la persona è venuta in terapia, dall’altra, di produrre il cambiamento delle modalità attraverso le quali questa costruisce la propria realtà personale e interpersonale. Questo significa produrre dei cambiamenti nella percezione della realtà della persona e non solo nelle sue reazioni comportamentali, in modo da spostare il suo punto di osservazione dalla posizione originaria, rigida e disfunzionale, ad una prospettiva più elastica e con maggiori possibilità di scelta. Di conseguenza, la Terapia Breve Strategica rappresenta un intervento radicale e duraturo e non certo una terapia puramente sintomatica. Proprio per questo, una volta risolto il problema portato in terapia, non si sviluppano sintomi sostitutivi, come evidenziato nei follow-up a distanza di un anno.

9) Si può fare psicoterapia ad un bambino?

Per i bambini al di sotto dei 12 anni si prevedono interventi di terapia indiretta, perché portare in consultazione psicologica un bambino lo si considera un evento potenzialmente dannoso: oltre a dar vita ad un pericoloso processo di “etichettamento diagnostico”, l’essere in cura da uno psicologo rischia di far sentire il bambino “anormale”, “cattivo” o, comunque, “diverso”. Questo potrebbe avere conseguenze negative sul suo sviluppo psicologico. Oltre a ciò, quando si ha a che fare con bambini al di sotto dei 12-13 anni (o comunque prima della pre-adolescenza), in genere la leva più vantaggiosa per produrre un cambiamento appare la famiglia stessa, piuttosto che la figura esterna del terapeuta, attraverso una terapia indiretta condotta con i genitori. Grazie a concrete indicazioni di comportamento, i genitori saranno eletti co-terapeuti e guidati dal terapeuta a modificare determinati atteggiamenti (ovvero le loro “tentate soluzioni”) che porteranno alla risoluzione del problema presentato dal figlio, senza che sia necessario vedere in bambino in seduta nemmeno una volta.

10) I problemi di coppia possono essere trattati solo in coppia?

Sebbene lavori anche con le coppie (ovvero vedendo entrambi i partner in seduta), la maggior parte dei problemi definiti “di coppia” si rivelano spesso più facilmente affrontabili lavorando con uno solo dei due membri. Una persona che ritenga di vivere una difficoltà di coppia può quindi contattare il terapeuta senza necessariamente dover coinvolgere il partner nella decisione. Sarà poi lo specialista, esaminando a fondo il tipo di problema e la situazione presentata, a valutare se sarà possibile, o addirittura preferibile, condurre la terapia con uno solo dei due membri, o se sarà invece necessario coinvolgere in qualche modo l’altro partner, almeno in qualche fase del trattamento.

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