[youtube http://www.youtube.com/watch?v=VnNYuehZnTU?list=UUTQLIHHx6tXZYRBwilRzCnw&w=560&h=315]
Salvini: “non credo al manuale dei disturbi psichiatrici”
SALVINI: NON CREDO AL MANUALE DEI DISTURBI PSICHIATRICI
“DIAGNOSI ANCHE SU BAMBINI SONO ERRATE, TESTO DOMINATO DA CASE FARMACEUTICHE”.
(DIRE – Notiziario minori) Roma, 3 lug. 2012 – “Una diagnosi di psicosi su due e’ sbagliata e forse sono ottimista. Come clinico credo che esistano disagi, ma so che altri non esistono in nessun modo. Non ho mai creduto al Dsm, ne’ alla sua validita’ scientifica”. Ha tagliato corto Alessandro Salvini, professore emerito di psicologia clinica all’Universita’ di Padova, che in un’intervista all’agenzia di stampa Dire ha definito il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Dsm, la cui prossima pubblicazione e’ prevista per maggio 2013, come il “manuale americano, guidato e dominato dalle case farmaceutiche che investono milioni di dollari sui suoi componenti per ricavarne miliardi successivamente. Del resto- ha aggiunto- si pensi che nel ’73, per un compromesso con i russi, fu introdotto il disturbo di opposizione politica”. […]
http://www.direnews.it/newsletter_minori/anno/2012/luglio/03/?news=02
L’autore a scuola
L’autore a scuola: incontro con A. Bartoletti
Bambini irrequieti, incapaci di seguire le lezioni con il resto della classe. Ragazzi svogliati che trascinano i pomeriggi fra mille attività tranne che nello studio: tutti sono accomunati da un denominatore simile: risultati scolastici pessimi. La vera domanda a questo punto è: come si diventa pessimi studenti? E, di conseguenza: perché ci si blocca?
In molti hanno sperimentato almeno in un’occasione il «blocco dello studente». Ma ci sono casi in cui una semplice difficoltà nello studio o in certe situazioni della vita scolastica si trasforma in un problema apparentemente insolubile, nonostante gli sforzi dei ragazzi, dei genitori e degli insegnanti.
E ancora: chi non si è mai sentito terrorizzato il giorno prima di un’interrogazione o di un compito in classe, o non si è mai fatto prendere dal panico di fronte alle domande di un docente? E quante volte ci sarà capitato di leggere e rileggere un capitolo di un libro di testo senza riuscire a capirne o a ricordarne il contenuto?
Con il dott. Alessandro Bartoletti (Sabato 18 gennaio alle ore 20.30 presso l’auditorium del nostro Istituto) affronteremo il problema della performance scolastica indicando le strategie per imparare a imparare. Insomma, presenteremo un «armamentario» di soluzioni terapeutiche efficaci che, applicate ai problemi di studio, contribuiscono alla nascita di un vero e proprio studente strategico.
http://www.ic2arzignano.it/lautore-a-acuola-incontro-con-a-bartoletti/
Psicotrappole
“Esistono tanti disagi psicologici quanti se ne possono inventare. Tuttavia ognuna di queste sofferenze ha una sua via d’uscita. Infatti, così come siamo bravi a costruire le nostre «psicotrappole», altrettanto possiamo esserlo a realizzare le nostre «psicosoluzioni». Oltre venticinque anni di attività terapeutica e circa ventimila casi trattati con successo mi hanno portato alla convinzione che gli esseri umani, nella loro capacità di crearsi difficoltà o vere e proprie patologie, vadano ben oltre la fantasia più fervida ma, al tempo stesso, sono in grado di effettuare cambiamenti tanto imprevisti quanto straordinari. In altri termini, la loro disastrosa attitudine a complicarsi la vita corrisponde alla meravigliosa capacità di trasformare i limiti in risorse e i problemi in soluzioni. […]”
leggete le prime 13 pagine del libro
[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=5lUbT-isfDQ&w=560&h=315]
DALL’AMERICA ARRIVA UNA CULTURA IN PILLOLE PER LA MENTE
DALL’AMERICA ARRIVA UNA CULTURA IN PILLOLE PER LA MENTE.
Ecco le obiezioni del Direttore del Centro di Terapia Strategica
SCIENZE – IL VENERDI DI REPUBBLICA
STA PER USCIRE IL NUOVO MANUALE STATISTICO DIAGNOSTICO, BIBBIA DEGLI PSICHIATRI, MA NON SOLO. ED E’ SEMPRE PIU’ A FAVORE DEI FARMACI. ECCO LE OBIEZIONI DI UNO PSICOTERAPEUTA ITALIANO: il Prof. Giorgio Nardone.
La cura della mente sarà sempre più racchiusa in un flacone? E’ il dubbio che viene analizzando la quinta edizione del Dsm, il manuale statistico-diagnostico redatto dall’American Psychiatric Association, che influisce sulla formazione di psichiatri e psicologi clinici di tutto il mondo e che sarà pubblicato in primavera.
«In effetti il Dsm-5 è ancora più sbilanciato delle edizioni precedenti verso la statistica e la farmacologia» dice Giorgio Nardone psicoterapeuta direttore della scuola di specializzazione post-universitaria di psicoterapia ad Arezzo. «L’esempio lampante è uno dei nuovi ingressi nel Dsm: il “disturbo di ipersessualità”. Si considera che in media una coppia sana sopra i 40 anni abbia 2-3 rapporti alla settimana, chi ha una frequenza maggiore viene etichettato dal Dsm-5 come affetto dal “disturbo ipersessuale”. In pratica la statistica, da strumento per trattare i dati, assurge a metodo diagnostico: si fa passare cioè la quantità per la qualità». »»» continua »»»
» Scarica il file PDF e continua a leggere l’articolo di Giuliano Aluffi, pubblicato su “SCIENZE – IL VENERDI DI REPUBBLICA” del 25.01.2013, a questo link: http://www.centroditerapiastrategica.org/allegati_rassegna/ven-repubblia-25012013.pdf?167910014
Come vincere le ossessioni che ci rendono schiavi
SCIENZE – IL VENERDI DI REPUBBLICA
CHI SI LAVA TROPPO LE MANI, CHI SI STRAPPA I CAPELLI…..
MA CONTRO LE MANIE C’E’ UNA STRATEGIA SPERIMENTATA
A tutti viene ogni tanto il dubbio di non aver chiuso a chiave l’auto. Ma andare a controllare ogni dieci minuti non è sano. Così come lavarsi le mani cento volte al giorno. Eppure lo fanno in tanti: circa il 5% degli italiani adulti si rivolge allo psicoterapeuta per liberarsi dalla schiavitù dei rituali irrazionali e ripetitivi tipici del disturbo ossessivo compulsivo. Lo dice Giorgio Nardone, direttore della scuola di specializzazione post-universitaria di psicoterapia ad Arezzo, nel libro Ossessioni, compulsioni, manie.
Il disturbo più diffuso è l’impulso a lavarsi eccessivamente per il terrore di essere contaminati dalle cose con cui si entra in contatto spiega l’esperto, che negli ultimi 25 anni ha curato, attraverso le cliniche che in diverse parti del mondo applicano la sua Terapia breve strategica, oltre 15 mila pazienti. Tutto parte da un dubbio: “E se questa cosa è sporca?”. Così si comincia a ripulire un oggetto, e a lavare le parti del corpo con cui l’abbiamo toccato, e sentiamo di stare di meglio. Fin dalle prime volte, il fatto che questo “copione” che mettiamo in atto ci faccia sentire meno angosciati innesca la trappola: siccome la soluzione ci sembra efficace, la ripetiamo. Tuttavia, superata una certa soglia di ripetizioni, il comportamento diventa irrazionale e sfocia in patologia.
Come si cura? Lo psicoterapeuta dice al paziente che la prossima volta che sentirà il bisogno di lavarsi, dovrà ripetere il rituale cinque volte. Non si proibisce il rituale, ma lo si trasforma in un “contro rituale” terapeutico spiega Nardone…..
DAP: disturbi attacchi di panico. Come superarli rapidamente
“Cari lettori di Mendi, procedendo nel nostro intento di fornire indicazioni utili e concrete ad ampliare le vostre capacità nel gestire complicate situazioni professionali o private, abbiamo pensato di addentrarci in quella parte del nostro lavoro dedicata alla soluzione di problemi invalidanti come è il DAP.
Definire chiaramente che cosa è utile sapere a riguardo delle patologie basate sulla paura è, dal nostro punto di vista, il primo fondamentale passo per dare un contributo davvero utile al lettore interessato, poiché, come vedremo nelle righe successive, sono diffuse tutte una serie di presunte conoscenze, ritenute dal senso comune utili, che non solo non servono ma il più delle volte sono fuorvianti e controproducenti, in quanto, invece, di aiutare a trovare soluzioni al problema conducono a ulteriori complicazioni.
Pertanto, nei paragrafi che seguono saranno esposte quelle forme di sapere, direttamente derivate dalla esperienza sia clinica che di ricerca applicata, che possono far chiara luce su quel complesso fenomeno psicologico, biologico e sociale che è la paura come patologia.
Del resto già Jiddu Krisnamurti affermava “la paura è la incertezza in cerca di sicurezza”.
La prima davvero importante forma di conoscenza che il lettore interessato deve fare sua, è il fatto che le patologie fobiche in tutte le loro forme, da singole paure a fobie generalizzate, possono essere curate e risolte efficacemente ed in tempi brevi.
Le ricerche-intervento svolte presso il Centro di Terapia Strategica sotto la direzione del prof. Nardone dimostrano ripetutamente come, mediante una forma di trattamento costruito ad hoc, l’88% dei casi di patologia fobica generalizzata sia stata risolta in una durata media di 7 sedute (2 o 3 mesi).
Addirittura per alcune forme di disturbo fobico, come agorafobia e attacchi di panico, si raggiunge il 95% dei casi risolti sempre nell’arco di pochi mesi.
Questi dati non vogliono certo essere, ancora una volta, un’esibizione delle capacità d’illustri studiosi e terapeuti, ma un’importante dichiarazione rivolta a chi sulla scia di credenze o peggio, mistificatorie pubblicazioni sul tema ritiene che sia impossibile guarire definitivamente dagli attacchi di panico o da un disturbo ossessivo-compulsivo, poiché tali false conoscenze conducono chi affetto da un tale tipo di disturbo, oltre tutto, alla disperata rassegnazione connotata dalla perdita della speranza di poter mai guarire e vivere libero dalle catene della paura.
Pertanto, rendere noto che la ricerca scientifica di tipo empirico-sperimentale in campo clinico, dimostra inequivocabilmente che è possibile guarire sia da singole paure, sia da disturbi fobici generalizzati, sgombra il campo dalla disperazione dell’impossibilità di cura ed apre a tutte le persone affette da tali patologie la possibilità di superare i limiti entro i quali la paura li blocca.
A tal riguardo, l’American Psycological Association nel suo ultimo rapporto relativo ai risultati delle terapie sui disturbi psichici e comportamentali (Hubble-Miller-Duncan,1999), riporta chiaramente come il 50% circa dei pazienti possa essere curato mediante terapie di durata tra 5 e 10 sedute (2-3 mesi); il 25% con terapie tra i 10 e 25 sedute (3-8 mesi); solo il rimanente 25% richiede terapie più estese nel tempo. Gli autori affermano con chiarezza che tali dati ufficiali non sono certo una presa di posizione a favore delle cosiddette “terapie brevi” ma, al di la delle pregiudiziali ideologiche e degli interessi corporativi, dichiarare come stanno i fatti reali.
Ciò sta a significare che la maggioranza delle patologie può essere curata rapidamente e non necessita, dunque, ne di psicoterapie che durano molti anni, ne di permanente dipendenza da psicofarmaci, ma di pragmatiche e chiare terapie psicologiche costruite a hoc. Questa ulteriore e netta dimostrazione apre quindi anche la possibilità, alla maggioranza delle persone affette da tali disturbi, di poter essere curate senza eccessivi costi economici ed esistenziali.
E’ bene chiarire, infatti, che il costo più alto pagato da una persona bloccata dalla paura, non è certo quello economico di una terapia, ma quello esistenziale, in quanto la sua vita è limitata e condizionata dalla paura.
Per esempio: una persona agorafobica che non è in grado, né di uscire da sola né di rimanere da sola, paga alla paura il tributo della propria possibilità di vivere; sulla stessa linea una persona ossessionata dall’avere una malattia, il cosiddetto ipocondriaco, non riesce a godersi nulla della sua esistenza perché è continuamente attanagliato dalla paura della malattia; cosiccome il soggetto costretto da una fobia a ripetere complicati rituali ossessivi spende la maggioranza del suo tempo a cercare di difendersi dalla fobia divenendo letteralmente schiavo delle sue ossessioni.
In tutte queste situazioni, la differenza tra la possibilità di essere curati efficacemente in tempi lunghi o in tempi brevi risiede nella qualità della vita vissuta da tali soggetti.
Purtroppo, per decenni gli studiosi di terapie della mente hanno sottovalutato l’importanza dell’efficienza di un intervento terapeutico, mentre, tale caratteristica fa sì che un intervento efficace sia ancor più valido, sul piano del successo terapeutico, in quanto rende quanto prima alla persona trattata la libertà di godersi la vita.
LA PRIMA UTILE CONOSCENZA PER CHI HA PROBLEMI RELATIVI A PAURE, PANICO E FOBIE, PERTANTO, PUÒ ESSERE RIASSUNTA CON L’AFORISMA DI HONORÉ DE BALZAC “LA RASSEGNAZIONE È UN SUICIDIO QUOTIDIANO”, E CON LA CITAZIONE DI SHAKESPEARE “NON ESISTE NOTTE CHE NON VEDA IL GIORNO”.
Ma chi soffre di DAP? la paura è alquanto democratica…. Stephen King ha il terrore del buio. Uma Thurman non riesce a salire in ascensore. A Nicole Kidman fanno paura le farfalle, a Scarlett Johansson gli scarafaggi. C’è poi chi, come l’attrice Christina Ricci, teme l’arrivo di uno squalo anche durante una nuotata in piscina.
O chi, come Orlando Bloom, ha così paura del progresso tecnologico che non riesce ad avvicinarsi a un pc. Tutte fobie. Assurde, irrazionali, incontrollabili. Sono più di 500 quelle studiate dai medici con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno.
Colpiscono i vip, ma anche i comuni mortali: «Ben 6,7 milioni di persone ne soffrono in Europa e, almeno un italiano su cinque» in base alle ultime stime elaborate dal Centro di Terapia Strategica di Arezzo diretto da Giorgio Nardone.
(Fine prima parte, la seconda ed ultima parte nella prossima edizione di Mendi)”
M. CRISTINA NARDONE & DR.SSA SUSANNA SCARTONI
Per saperne di più sull’argomento si rimanda il lettore ai libri:
– Oltre i limiti della paura, Rizzoli ed.
– Non c’è notte che non veda il giorno, Nardone G., TEA ed.
file pdf: DAP: disturbi attacchi di panico. Come superarli rapidamente
AIUTARE I GENITORI AD AIUTARE I FIGLI
Problemi e soluzioni per il ciclo di vita
Probabilmente sono pochissimi i genitori che non hanno mai dovuto affrontare problemi grandi o piccoli con i propri figli, a tutte le età. Chi non ha mai avuto a che fare con le difficoltà dei primi mesi di vita del neonato, con un bambino introverso o troppo vivace, con un adolescente problematico? Negli ultimi anni si è assistito a un interesse crescente per lo studio delle dinamiche familiari, con un’applicazione sempre più ampia di interventi e psicoterapie strategiche che coinvolgono non solo il paziente di volta in volta «designato», ma anche i genitori. È proprio a loro che è destinato il testo, un vero e proprio quick reference text, ossia un manuale di pronta e chiara consultazione: all’illustrazione del problema o della patologia si associano modalità concrete di soluzione e numerosi esempi tratti dalla casistica clinica. L’aspetto più innovativo riguarda la terapia indiretta: i genitori, assumendo il ruolo decisivo di «coterapeuti», diventano i primi veri «specialisti» a cui i figli dovrebbero affidarsi.
Gli autori intendono così «aiutare i genitori ad aiutare i figli», modificandone gli atteggiamenti controproducenti e permettendo loro di intervenire direttamente sulle realtà disfunzionali, giocando sulla centralità degli aspetti comunicativi e relazionali. I risultati di tale lavoro, estremamente variegato ma riassunto con grande precisione ed efficacia in queste pagine, hanno permesso di mettere a punto strategie differenziate e specifiche per ciascuna realtà familiare, fascia d’età e obiettivo terapeutico: come è tipico dell’approccio strategico, non è tramite l’osservazione asettica e l’estrapolazione epidemiologica dei dati che si giunge alla definizione del trattamento, ma «solo le soluzioni che funzionano possono spiegare il funzionamento dei problemi che hanno risolto».
L’AZIENDA VINCENTE
Il sistema azienda rappresenta una «qualità emergente» in grado di essere efficace per i suoi scopi solo se funziona armonicamente.
Tale condizione inevitabilmente viene creata e alimentata dalle relazioni tra gli esseri umani che vivono e che agiscono al suo interno: anche quando può sembrare che la complessità dell’organizzazione li travalichi, sono sempre e comunque gli individui e la loro cooperazione a costruire il successo o l’insuccesso di un’azienda.
Trattare di questo significa focalizzarsi sul fattore umano che crea, nutre e talvolta avvelena o distrugge l’organizzazione produttiva, con lo scopo di risvegliare l’attenzione sulle capacità dell’individuo e dei gruppi di persone all’interno di quell’organismo vivente che è l’azienda, in modo da sospingerne l’anelito vitale.
L’azienda che funziona come il migliore dei velieri sa catturare e farsi sospingere dai venti interni ed esterni alla sua organizzazione facendo sì che ogni singola componente dell’equipaggio si senta artefice del successo.
Da Nardone libri, collana, saggi.
IN ANTEPRIMA IL PRIMO CAPITOLO
Capitolo 1
PROBLEM SOLVING STRATEGICO: IL RASOIO DI OCCAM DELLA CONSULENZA E DELLA FORMAZIONE
Ogni teoria razionale, non importa se scientifica o filosofica, è tale nella misura in cui cerca di risolvere determinati problemi.
KARL POPPER, Breviario
«Tutto ciò che si può con poco, invano viene fatto con molto»: ecco la folgorante formulazione di Guglielmo di Occam del suo celebre «rasoio», principio metodologico con cui il filosofo intendeva evidenziare i limiti e i pericoli dell’assunzione, di fronte alle problematiche umane, di visioni idealistiche e metodologie iper-razionali che prevedano complicati processi di ragionamento. La metafora del rasoio, infatti, suggerisce l’idea che dal punto di vista metodologico sia opportuno eliminare, con tagli di lama e mediante approssimazioni successive, le ipotesi più complicate.
Il rasoio di Occam rappresenta uno dei principi cardine del problem solver strategico: l’idea cioè che si possa ottenere la soluzione di problemi anche estremamente complessi mediante una procedura semplice ed economica, cercando di ridurre al minimo i «costi» esistenziali e materiali per la persona o l’organizzazione.
Prima di passare all’esposizione dettagliata degli interventi realizzati attraverso i case history commentati, verrà offerta qui una presentazione sintetica del nostro modello sotto forma di «istruzioni per l’uso», rimandando ad altri testi per gli ulteriori approfondimenti teorici e tecnici (Nardone, Mariotti, Milanese, Fiorenza, 2000; è OK si RIFERISCE a“la terapia azienda malata]; Milanese, Mordazzi, 2007; Nardone, 2009).
Sequenza riassuntiva delle fasi del problem solving strategico (PPS)
PROBLEMA/OBIETTIVO
DEFINIRE IL PROBLEMA
Cosa è effettivamente il problema, chi ne è coinvolto, dove si esprime, quando appare, come funziona. Dare una descrizione il più dettagliata possibile, in termini logici e analogici, in modo tale da «partire dopo per arrivare prima».
ACCORDARE L’OBIETTIVO
Una volta definito il problema, si descrivono i cambiamenti concreti che, una volta realizzati, porterebbero ad affermare che il problema è risolto. Ovvero, si definisce l’obiettivo da raggiungere, in termini sia logici che analogici. Questo è il secondo passo di un processo di problem solving strategico.
ANALISI E VALUTAZIONE DELLE TENTATE SOLUZIONI
La terza fase è rappresentata dall’individuazione e valutazione di tutti i tentativi fallimentari messi in atto finora per risolvere il problema in questione. Questa è la fase cruciale di studio della soluzione che parte, non a caso, dalla valutazione di tutte quelle già tentate ma che non hanno avuto successo. Si tratta del costrutto centrale del PSS, quello di tentata soluzione che, se non funziona ma viene reiterata nel tempo, tende a mantenere il problema e a complicarne il funzionamento.
TECNICA DEL COME PEGGIORARE
Una volta individuate le tentate soluzioni, si procede ponendosi la seguente domanda: «Se io volessi volontariamente e deliberatamente far peggiorare la mia situazione anziché migliorarla, cosa potrei fare o non fare? Cosa potrei pensare o non pensare? Quali sarebbero tutti i metodi o le strategie che, se adottate, porterebbero a un sicuro fallimento nel mio progetto?»
Questa tecnica si ispira all’antico stratagemma cinese: Se vuoi drizzare una cosa, impara prima come storcerla di più.
TECNICA DELLO SCENARIO OLTRE IL PROBLEMA
Oltre alla tecnica presentata, per essere ancora più concretamente focalizzati sull’obiettivo da raggiungere abbiamo formalizzato un’altra tecnica innovativa: immaginare lo scenario ideale al di là del problema.
Si tratta di domandarsi quale sarebbe lo scenario, riguardo alla situazione da cambiare, una volta che il problema fosse completamente risolto o, nel caso di miglioramenti da ottenere, che l’obiettivo fosse completamente raggiunto. In altri termini, la persona deve immaginare quali sarebbero tutte le caratteristiche della situazione ideale dopo aver realizzato il cambiamento strategico.
TECNICA DELLO SCALATORE
Di fronte a un problema complesso da risolvere, al fine di costruire una strategia efficiente oltre che efficace, risulta utile partire dall’obiettivo da raggiungere e immaginare lo stadio immediatamente precedente, poi lo stadio precedente a quest’ultimo, sino a giungere al punto di partenza: in questo modo si suddivide il percorso in una serie successiva di micro-obiettivi che tuttavia prendono avvio dal punto d’arrivo per risalire al primo passo da compiere. Questa strategia mentale apparentemente controintuitiva permette di costruire agevolmente la sequenza di azioni da realizzare per risolvere il problema, partendo dal più piccolo ma concreto cambiamento possibile.
AGGIUSTARE IL TIRO PROGRESSIVAMENTE
Talvolta i problemi sono così complessi da richiedere non una sola soluzione, ma una sequenza di soluzioni. Come nel gioco delle scatole cinesi o delle matrioske russe, aperta la prima se ne trova un’altra al suo interno, dentro la quale ce n’è un’altra ancora e così di seguito fino all’ultima. Di fronte a situazioni di questo tipo è fondamentale evitare di voler affrontare insieme tutti i problemi, iniziando invece dal più accessibile. Una volta risolto il primo problema si passa al secondo e così via, senza mai perdere però la visione d’insieme e delle interazioni possibili tra le concatenazioni di problemi.
SOLUZIONE
Per definizione il PSS può essere applicato a qualunque tipologia di problema e ad ambiti decisamente diversi fra loro, tra i quali persino quello della ricerca empirica. Quest’ultima ha infatti costituito il fondamento metodologico per la messa a punto delle numerose forme specifiche di intervento terapeutico e di comunicazione strategica sviluppate presso il nostro Centro e applicate con successo a migliaia di casi clinici e a centinaia di casi manageriali.
Tale logica si differenzia dalle logiche tradizionali per la sua caratteristica di mettere a punto le tecniche di intervento sulla base degli obiettivi prefissati e delle specifiche caratteristiche del problema affrontato, piuttosto che sulla base di una rigida teoria precostituita da rispettare. Nell’approccio strategico evoluto, infatti, il presupposto fondamentale è la rinuncia di qualsiasi teoria forte che stabilisca a priori la strategia di intervento. Da questa prospettiva è sempre la soluzione che si adatta al problema e non viceversa, come avviene nella maggioranza dei modelli di intervento tradizionali.
Al problem solver strategico non interessa conoscere le verità profonde e il perché delle cose, ma solo «come» farle funzionare nel modo migliore possibile. La sua prima preoccupazione è quella di adattare le proprie conoscenze alle «realtà» parziali che si trova di volta in volta ad affrontare, mettendo a punto strategie fondate sugli obiettivi da raggiungere e in grado di adattarsi, passo dopo passo, all’evolversi della «realtà» su cui si interviene.
Abbandonando la rassicurante tesi positivista di una conoscenza «scientificamente vera», nell’intervento strategico ci si occupa, infatti, di individuare i modi più «funzionali» di conoscere e agire, ovvero di condurre l’individuo alla «consapevolezza operativa». Ciò significa lasciare in secondo piano la ricerca delle cause degli eventi, per concentrarsi sullo sviluppo di una sempre maggiore capacità di gestire strategicamente la realtà che ci circonda e raggiungere così i propri obiettivi: saranno proprio le soluzioni efficaci a spiegare le matrici dei problemi risolti.
Pertanto la domanda sul «perché» viene sostituita con quella sul «come funziona». Chiedendosi «come funziona» una certa situazione, infatti, si evita di andare alla ricerca delle cause e dei «colpevoli», focalizzandosi, invece, sulle modalità che mantengono un determinato equilibrio e su come questo possa essere modificato. Ciò significa orientare l’osservazione sulla persistenza di un problema piuttosto che sulla sua formazione: infatti è solo sulla persistenza di un problema che si può intervenire. Chiedersi «come funziona» orienta l’indagine sulla ricerca del cambiamento nel presente, mentre domandarsi «perché» conduce a ricercare le spiegazioni in un passato che in ogni caso non può comunque cambiato.
Rinunciando alla pretesa di una conoscenza a priori dei fenomeni oggetti di studio, il problem solver strategico deve avere a disposizione un «riduttore di complessità» che gli consenta di cominciare a intervenire sulla realtà da modificare e di svelarne così, progressivamente, la modalità di funzionamento. Tale riduttore è stato individuato nel costrutto di «tentata soluzione».
Come indica il filoso della scienza Karl Popper (1972, 1976), quando si inciampa su un problema, per economia mentale si tende a far ricorso all’esperienza riproponendo interventi risolutivi che in passato hanno funzionato per problemi analoghi. Di fronte all’insuccesso di tali strategie, poi, piuttosto che ricorrere a modalità di soluzione alternative, si tende ad applicare con maggior vigore la strategia iniziale, nell’illusione che fare «più di prima» la renderà efficace. Questi tentativi di reiterare una stessa soluzione che non funziona nel presente, ma che aveva funzionato nel passato, alla fine innescano un complesso processo di retroazioni in cui sono proprio gli sforzi in direzione del cambiamento a mantenere la situazione problematica immutata o a complicarla ulteriormente. Da questo punto di vista possiamo affermare che le «tentate soluzioni diventano il problema» (Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974). Pertanto è lo studio delle soluzioni applicate che ci fa conoscere il problema e le sue modalità di persistenza, ovvero come questo si alimenta grazie agli effetti dei tentativi disfunzionali di risolverlo. Con le parole di Giorgio Nardone: «Si conosce un problema attraverso la sua soluzione» (Nardone, Portelli, 2005).
Quando un sistema si trova in questa situazione è invischiato in un «gioco senza fine»: il sistema stesso e i suoi componenti sono parte attiva del problema e solo un cambiamento introdotto dell’esterno, che guidi a modificare il modello disfunzionale, rappresenta una soluzione concreta al problema.
La prima cosa che il problem solver dovrà fare, quindi, sarà individuare le «tentate soluzioni» che il sistema e gli individui implicati hanno messo in atto finora per raggiungere un dato obiettivo o per modificare una situazione ritenuta disfunzionale. L’intervento strategico si occuperà di rompere, nel modo più efficace e rapido possibile, il meccanismo autopoietico stabilitosi tra le tentate soluzioni e la persistenza di un equilibrio disfunzionale, per poi condurre alla costruzione di un nuovo equilibrio persistente funzionale.
Nei capitoli che seguono cercheremo di rendere il più chiaro e concreto possibile ciò che è stato qui esposto in maniera schematica. Ma prima di procedere ci sembra cruciale mettere in risalto il fatto che, per applicare con efficacia il modello di PSS, è necessario non solo il «sapere», bensì anche il «saper fare», ovvero la capacità di comunicare agli altri e a se stessi consentendo di evadere dalla trappola degli schemi mentali e comportamentali.
Per questa ragione nel testo sarà data ampia spiegazione anche della comunicazione strategica.
PROBLEM SOLVING STRATEGICO
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COMUNICAZIONE STRATEGICA
Logica di problem solving e comunicazione rappresentano le due anime dell’approccio strategico; non può esistere problem solving strategico senza una comunicazione strategica, e viceversa. Poiché il primo rappresenta il metodo che guida l’intervento, la seconda è il veicolo che ne permette l’applicazione. Il linguaggio, i gesti e le azioni, sono il bisturi del problem solver che, se usato con precisione chirurgica, può condurre a esiti straordinari; viceversa, se usato senza maestria non sarà possibile operare alcun cambiamento chirurgico.
GIORGIO NARDONE E PAUL WATZLAWICK
Paul Watzlawick ha attraversato come una stella cometa la seconda metà del secolo scorso, illuminando con le sue idee, il suo lavoro e i suoi scritti intere generazioni di studiosi e professionisti, non solo nelle aree della psicologia, della psichiatria e della sociologia ma anche in campi lontani dalle scienze umane come l’economia e l’ingegneria o nelle scienze «pure» come la fisica e la biologia. I suoi studi sulla comunicazione e sul cambiamento travalicano, infatti, le barriere disciplinari e trovano applicazione in qualunque contesto ove siano coinvolte le relazioni dell’individuo con se stesso, con gli altri e con il mondo. La sua opera, come quella dei grandi filosofi, non si lascia limitare né dalle ideologie, né dai confini delle singole prospettive scientifiche: essa va oltre, sino alla radice del «come» l’essere umano costruisce, anzi, per dirla con le sue parole, inventa la sua realtà. Sulla scia della sua luminosa stella, numerosi sono i pensatori e i professionisti che hanno avuto la possibilità di costruire il loro successo e la loro fama. Basti pensare che Watzlawick è l’unico autore tradotto in ottanta lingue differenti. La cosiddetta scuola di Palo Alto non sarebbe esistita senza la sua imponente figura e la sua capacità di sintetizzare il lavoro di eminenti studiosi, come Gregory Bateson o Don D. Jackson e Milton Erickson, in un unico e rigoroso modello teorico e applicativo. D’altronde, per fare solo qualche esempio, il padre del costruttivismo Hein Von Foerster, amava dichiarare di essere una invenzione di Paul Watzlawick, nel senso che egli, senza il suo aiuto, non sarebbe diventato così noto e i suoi lavori non sarebbero stati così conosciuti. Lo stesso vale per Mara Selvini Palazzoli e la scuola di Milano di terapia sistemica, che devono a lui non solo l’ispirazione tecnica ma anche la diffusione nel mondo del loro lavoro. Nella stessa maniera tutti coloro che si sono inseriti nella scia della cometa Watzlawick hanno potuto riflettere grazie alla sua luce e, spesso, senza nessun contatto diretto con lui. Era infatti sufficiente dichiarare di riferirsi alla scuola di Palo Alto per acquisire status di rispettabilità scientifica e professionale. Tutto ciò vale anche per me poiché senza di lui probabilmente pochi avrebbero conosciuto il mio lavoro. Invece, grazie al libro L’arte del cambiamento scritto a quattro mani, mi sono ritrovato immediatamente sulla ribalta internazionale. Il nostro Centro di Terapia Strategica di Arezzo se non fosse stato fondato con la sua attiva presenza non sarebbe mai divenuto il punto di riferimento per l’evoluzione della terapia breve e il problem solving strategico. Ad ulteriore prova della grandezza della sua opera si pensi che Paul Watzlawick rappresenta anche uno degli autori più copiati: c’è stato anche chi, dopo averne copiato intere pagine per un suo articolo, senza ovviamente citare la fonte, è in seguito divenuto uno dei suoi più acerrimi detrattori. Paul, essendo una persona tollerante e sempre capace di evitare conflitti – anche quando potevano apparire legittimi – in questo caso e in altri, invece di denunciare e svergognare pubblicamente il collega scorretto, semplicemente ha fatto notare direttamente e con stile la mala azione al colpevole, senza andare oltre. Il lettore può ben capire come voler sottolineare la rilevanza del contributo di quest’autore e pensatore richiederebbe un intero volume, inoltre i suo testi parlano del suo lavoro meglio di come potrebbe fare chiunque altro. Per questo ho deciso di concludere questo commento finale ai suoi scritti selezionati in maniera non accademica ma personale. Ritengo che, avendo avuto l’onore e il piacere di condividere con Paul oltre quindici anni di collaborazione professionale e anche di relazione personale (insieme abbiamo tenuto oltre cinquanta workshop e conferenze in giro per il mondo, abbiamo scritto tre libri e contribuito ad altri due insieme agli amici Jeffrey Zeig e Camillo Loriedo) sia bello offrire al lettore, oltre alla sua opera, qualche aneddoto che pennelli la sua persona. Egli, infatti, è stato non solo un Maestro di scienza e professione bensì anche un modello di stile e filosofia di vita. Paul era un uomo di bella presenza, sobriamente elegante e capace di una sottile ironia, tanto irresistibilmente simpatico agli uomini quanto affascinante per le donne. Mai esibiva la sua condizione disponendosi umilmente con chiunque, con l’atteggiamento di chi è sempre pronto ad imparare qualcosa in più. Capace nelle relazioni interpersonali del gelo più rabbrividente così come del calore più confortante, ma sempre con stile impareggiabile. Una volta, alla Sorbona di Parigi, durante una conferenza, un partecipante lo interruppe aggredendolo verbalmente perché le sue teorie andavano contro i fondamenti della psichiatria e della psicoanalisi. Egli, con estrema pacatezza gli rispose: « lei ha perfettamente ragione… dal suo punto di vista… »-, poi continuò a parlare tra gli applausi e il sorriso del pubblico. In un’altra occasione lo osservai dare del cibo «rubato in hotel» ai gatti randagi di una calle veneziana, lasciava che si avvicinassero come se fossero amici di un’altra vita. Giunti a Bologna da Roma a bordo della mia auto, Paul commentò la mia guida ironicamente, dichiarando che l’Italia doveva essersi accorciata. Giunti all’hotel che si chiamava «I tre vecchi » mi chiese dove fossero gli altri due. La sua ironia fu forse ancor più proverbiale: eravamo in attesa delle valigie all’aeroporto di Siviglia, la sua arrivò per prima e, ovviamente, la mia per ultima. Durante la tediosa attesa, sul nastro passò una valigia gigantesca ed egli commentò «è decisamente molto comoda perché se non trovi una camera in albergo puoi dormirci dentro». Le sue attenzioni nei confronti delle persone a lui care non erano mai ostentate ma così delicate e puntuali da stupire ogni volta. Pronto a cogliere la bellezza in ogni sua forma, dai colori delle colline toscane in primavera al fascino tremendo dei grattacieli sulla baia di Hong Kong al tramonto; dal rumore ancestrale delle onde del pacifico di Carmel alla musica sublime di Rachmaninov. Infine, uno degli episodi che può descrivere al meglio la sua personalità e il suo stile è rappresentato da un sottile quanto potente insegnamento impartitomi molti anni fa durante un importante convegno. In questa occasione, per la prima volta dovevo presentare il metodo di terapia breve, messo a punto sotto la sua supervisione, per il trattamento dei disturbi fobico- ossessivi; per di più dovevo farlo di fronte a un’assise composta dai più importanti studiosi e specialisti del settore. Ossessivamente avevo preparato la mia esposizione, riservando lo spazio alla dissertazione teorica, alla presentazione dei dati empirici e alla pratica clinica mediante delle videoregistrazioni che dimostrassero la reale efficacia della terapia anche a un pubblico di scettici ricercatori e colleghi. Sfortunatamente il tecnico video e audio della sala, nel provare il mio video, per errore ne aveva cancellato il contenuto. Mi accorsi di tutto ciò poco prima di cominciare la mia relazione. Come il lettore può ben capire non ero solo seccato e allibito per l’accaduto ma anche frustrato e piuttosto depresso prevedendo il sicuro insuccesso. Procedetti nella mia presentazione in maniera decisamente meno assertiva del solito e quando giunsi alla parte dimostrativa della tecnica, mi scusai con l’uditorio per il problema sopraggiunto: recitai, invece che mostrare il video, le trascrizioni, dichiarando i loro effetti. In maniera totalmente contraria alle mie previsioni il pubblico fu entusiasta e molte furono le dichiarazioni di apprezzamento per il lavoro presentato. Paul, che tutto aveva osservato dal fondo della grande sala, si avvicinò a me e battendomi un mano sulla spalla disse: «finalmente oltre che bravo sei apparso umile e simpatico…» Oggi tutti hanno apprezzato la tua «debolezza» ed il tuo «errore»… Mai ho dimenticato questa sua lezione. Oggi, a pochi giorni dalla sua morte, scrivendo queste righe sento ancor più la sua mancanza. Tuttavia sono contento perché, oltre a una vita intensa e piena di bellezza, egli ha avuto una morte felice accanto alla sua amata Vera. Ritengo che in questo caso valga davvero la seguente citazione: «quando perdi una persona davvero importante, piuttosto che pensare alla sfortuna di averla perduta pensa alla fortuna di averla avuta ». Arezzo, aprile 2007 Giorgio Nardone