Estratto da “Giorgio Nardone’s Fan Page”
La realtà non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con quello che ci accade.
A. Huxley L’arte di vedere.
Una delle convinzioni, più nefaste nei suoi effetti, degli ultimi cento anni è quella per cui se una persona soffre da anni una severa e persistente patologia psicologica la terapia dovrà essere altrettanto sofferta ed estesa nel tempo.
Tale credenza pseudo-scientifica ha resistito per decenni sia alla contraria evidenza dei fatti che alla evidente evoluzione della scienza. Tutt’oggi tale rigida assunzione persiste in certi ambienti, nei quali, forse, è più importante difendere l’ortodossia delle proprie teorie che riuscire a curare effettivamente le umane sofferenze; per questi, come per Hegel, “Se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti”.
Per fortuna, nell’arco degli ultimi 30 anni, molti studiosi e autori hanno dimostrato e fatto conoscere la possibilità di risolvere efficacemente, e in tempi brevi, la maggioranza delle patologie psichiche e comportamentali.
Infatti, ciò che è importante considerare per produrre i cambiamenti desiderati non è come un problema si è venuto a formare nel tempo ma come questo si mantenga nel presente. Ciò che noi dobbiamo interrompere, quando vogliamo cambiare una realtà, è la sua persistenza. Sulla sua formazione, originata nel passato, non abbiamo alcun potere di intervento: il passato proprio perché passato non è più modificabile.
Questa apparentemente ovvia considerazione taglia fuori la stragrande maggioranza dei modelli psicologici e psichiatrici di terapia, i quali, sulla base di una epistemologia determinista o riduzionista, cercano di ricostruire le cause passate di un problema presente, con la convinzione che una volta svelate e rese consapevoli queste, il problema sfaterà.
Le cose, però, non stanno così. Nella realtà non esiste alcuna connessione “casuale lineare” tra come un problema si è formato e come questo poi persiste; soprattutto non esiste alcun nesso logico tra come il problema si è formato e come il problema può essere cambiato e risolto. Esiste invece una “circolare causalità” tra come un problema persiste e ciò che le persone fanno, spesso senza successo, per risolverlo. Questo conduce a rilevare che, nell’ottica del provocare cambiamenti, ciò che è determinante è concentrarsi sulle Tentate Soluzioni Disfunzionali in atto, poiché cambiando o bloccando queste si interrompe il circolo vizioso che alimenta il problema stesso.
Noi crediamo che la vera etica del terapeuta consiste nell’assumersi la responsabilità del cambiamento delle persone, che chiedono il nostro aiuto, nel modo più efficace ed efficiente, ovvero rapido e persistente, possibile.
Una volta interrotta tale ricorsività si è aperta la strada al reale alternativo cambiamento, e questo non sarà solo probabile ma inevitabile, in quanto la rottura dell’equilibrio precedente condurrà, attraverso esperienze concrete e ripetuti apprendimenti, allo stabilirsi di un equilibrio più funzionale, basato sulle nuove percezioni della realtà.
Per rendere chiaro un processo di cambiamento di tale tipo appare utile ricorrere ad un esempio che deriva dalla psicologia sperimentale (Orstein, 1987), o meglio ad una esperienza che il lettore può sperimentare direttamente con se stesso .
L’esperimento è questo: <[…] il lettore si metta tre secchi di acqua davanti, uno con acqua molto calda, un altro con acqua molto fredda e un terzo con acqua tiepida. Adesso il lettore metta la mano destra nell’acqua calda e la sinistra in quella fredda. Dopo qualche minuto, infili contemporaneamente le due mani nell’acqua tiepida. Si avrà un’esperienza un pochino sconvolgente.
Per la mano destra l’acqua sarà molto fredda, per la mano sinistra sarà molto calda. Eppure è lo stesso cervello. Ma la mano destra non sa cosa fa la mano sinistra.>
Quello che è veramente interessante notare, è che, sulla base della percezione della mano destra aggiungereste acqua calda, sulla base della percezione della mano sinistra aggiungereste acqua fredda.
E’ chiaro quindi come sia la nostra percezione delle cose che costruisce, letteralmente, la realtà dei nostri comportamenti, e come la nostra percezione sia costruita sulla base di quello che abbiamo sperimentato e creduto precedentemente.
Di conseguenza a ciò, l’intervento che conduce al cambiamento consiste nel provocare delle concrete esperienze percettive, che mettano la persona nella condizione di provare qualcosa di diverso nei confronti della realtà da cambiare, in modo da aprire così la porta a nuove reazioni emotive e comportamentali.
Si tratta quindi di vere e proprie esperienze, che:
• sono vissute in prima persona dal paziente
• sono guidate in modo sapiente dal terapeuta strategico
• modificano la realtà per la quale la persona soffre
Non si tratta quindi di un cambiamento dei comportamenti, come qualche nostro critico ci accusa di sostenere, nemmeno di un cambiamento delle cognizioni e neanche di un cambiamento nelle emozioni, ma di un cambiamento che avviene a livello delle percezioni, delle emozioni, delle cognizioni e dei comportamenti, sulla scia di una esperienza concreta, capace di modificare il modo stesso in cui la realtà è percepita.
Trasponendo quanto esposto fin qui in ambito clinico, ne deriva una formulazione della terapia completamente diversa da quelle tradizionali, sia da un punto di vista teorico che logico e applicativo.
Considerati da questa prospettiva, i disturbi mentali sono infatti intesi come il prodotto di una modalità disfunzionale di percezione e reazione nei confronti della realtà, realtà che è letteralmente costruita dal soggetto/i attraverso le sue reiterate disposizioni e azioni. Processo “di costruzione”, quindi, all’interno del quale, come già dimostrato, se cambiano le modalità percettive della persona cambieranno anche le sue reazioni.
La concezione di Problem-Solving Strategico, che sta alla base della Terapia Breve Strategica è guidata da tale apparentemente semplice logica, che nella pratica clinica si esprime nel condurre il paziente, spesso mediante stratagemmi, trabocchetti comportamentali, benefici imbrogli e forme di raffinata suggestione, ad esperire e perciò vivere la sua realtà in un modo nuovo e più funzionale. Tali nuove e correttive esperienze percettive, come già esposto, condurranno a cambiare le sue precedenti disfunzionali disposizioni percettivo-emotive, cognitive e comportamentali.
La terapia breve strategica è un intervento terapeutico rapido e focale orientato alla estinzione dei disturbi presentati dal paziente.
Questo approccio non è una terapia superficiale e sintomatica ma un intervento radicale, poiché mira alla ristrutturazione dei modi traverso cui ognuno costruisce la realtà che poi subisce.
La concezione clinica di base è che la risoluzione del disturbo richieda la rottura del sistema circolare di retroazioni tra soggetto e realtà, che mantiene la situazione problematica. A tale prima fase, seguirà la ridefinizione e la conseguente modifica delle rappresentazioni del mondo che costringono la persona alle risposte disfunzionali.
Da questa prospettiva, la modalità di conduzione di terapia è decisamente diversa da quella tradizionale della psicoterapia a lungo termine. Ad esempio il terapeuta invece di indottrinare il paziente con la sua teoria e il suo linguaggio, cerca di entrare nella logica di questi e di utilizzarne il linguaggio e le modalità di rappresentazione che gli sono proprie: questo al fine di aggirare le resistenze al cambiamento.
Il ricorso a notizie o informazioni sul passato o sulla cosiddetta “storia clinica” del soggetto rappresenta solo un mezzo per potere mettere a punto le migliori strategie di soluzioni dei presenti, e non una procedura terapeutica, come nelle forme classiche di psicoterapia.
L’attenzione terapeutica è focalizzata su :
A) – come la persone che portano il problema, e le altre persone intorno a queste, hanno cercato e cercano, senza successo, di risolvere il problema (le tentate soluzioni che alimentano il problema )
B) – come è possibile cambiare tale situazione problematica nella maniera più rapida ed efficace (le strategie o stratagemmi che possono produrre esperienze percettive alternative di tipo correttivo).
Dopo avere concordato con il paziente gli obiettivi della terapia si costruiscono, sulla base di questi, le strategie terapeutiche mirate all’ infrangere le modalità di persistenza del problema .
La prima fase del trattamento ricopre un ruolo estremamente importante, che è quello di aprire nuove prospettive al paziente, che poi in tempi brevi verranno consolidate tramite concrete indicazioni. Si ricorre a tal fine all’utilizzo di forme raffinate di comunicazione suggestiva, che permettono di aggirare le resistenze al cambiamento e di ingiungere le prescrizioni che condurranno la persona alle concrete esperienze di cambiamento.
In questo modo, come è nella maggioranza dei casi, la patologia si sblocca entro le prime 4 o 5 sedute. Tale rapido cambiamento conduce ad una progressiva modifica dei modi in cui le persone percepiscono se stessi, gli altri e il mondo. Ciò sta a significare che la prospettiva di percezione della realtà del paziente si sposta dalla precedente rigidità patogena verso una elasticità percettiva-reattiva. A tale cambiamento corrisponde un progressivo innalzamento di autonomia personale ed un incremento dell’autostima, dovuto al recupero della fiducia nelle proprie risorse e capacità personali .
Da questa ottica, appare assurda la usuale convinzione che problemi e disagi che persistono da molto tempo, necessitino obbligatoriamente, per essere risolti, di un altrettanto lungo e sofferto trattamento terapeutico.
In molti casi, mediante un piano strategico ben congeniato e ben applicato, si possano sbloccare, in tempi rapidi (talvolta dopo un solo incontro), problemi e disturbi radicati da anni.
Ovviamente esistono casi che richiedono una terapia più lunga ed altri minor tempo. Tuttavia, rimaniamo convinti che se una terapia funziona, allora deve produrre cambiamenti significativi molto rapidamente. Se ciò non avviene, molto probabilmente la strategia terapeutica utilizzata non funziona e si rende necessario cambiarla con una più funzionale.
In ogni caso si richiede al terapeuta una grande elasticità mentale, unita ad un repertorio ampio di tecniche di intervento, tale da permettere di cambiare rotta quando i dati fanno rilevare di essere fuori dalla direzione desiderata e di studiare strategie “ad-hoc” per ogni caso specifico.