Il sistema azienda rappresenta una «qualità emergente» in grado di essere efficace per i suoi scopi solo se funziona armonicamente.
Tale condizione inevitabilmente viene creata e alimentata dalle relazioni tra gli esseri umani che vivono e che agiscono al suo interno: anche quando può sembrare che la complessità dell’organizzazione li travalichi, sono sempre e comunque gli individui e la loro cooperazione a costruire il successo o l’insuccesso di un’azienda.
Trattare di questo significa focalizzarsi sul fattore umano che crea, nutre e talvolta avvelena o distrugge l’organizzazione produttiva, con lo scopo di risvegliare l’attenzione sulle capacità dell’individuo e dei gruppi di persone all’interno di quell’organismo vivente che è l’azienda, in modo da sospingerne l’anelito vitale.
L’azienda che funziona come il migliore dei velieri sa catturare e farsi sospingere dai venti interni ed esterni alla sua organizzazione facendo sì che ogni singola componente dell’equipaggio si senta artefice del successo.
Da Nardone libri, collana, saggi.
IN ANTEPRIMA IL PRIMO CAPITOLO
Capitolo 1
PROBLEM SOLVING STRATEGICO: IL RASOIO DI OCCAM DELLA CONSULENZA E DELLA FORMAZIONE
Ogni teoria razionale, non importa se scientifica o filosofica, è tale nella misura in cui cerca di risolvere determinati problemi.
KARL POPPER, Breviario
«Tutto ciò che si può con poco, invano viene fatto con molto»: ecco la folgorante formulazione di Guglielmo di Occam del suo celebre «rasoio», principio metodologico con cui il filosofo intendeva evidenziare i limiti e i pericoli dell’assunzione, di fronte alle problematiche umane, di visioni idealistiche e metodologie iper-razionali che prevedano complicati processi di ragionamento. La metafora del rasoio, infatti, suggerisce l’idea che dal punto di vista metodologico sia opportuno eliminare, con tagli di lama e mediante approssimazioni successive, le ipotesi più complicate.
Il rasoio di Occam rappresenta uno dei principi cardine del problem solver strategico: l’idea cioè che si possa ottenere la soluzione di problemi anche estremamente complessi mediante una procedura semplice ed economica, cercando di ridurre al minimo i «costi» esistenziali e materiali per la persona o l’organizzazione.
Prima di passare all’esposizione dettagliata degli interventi realizzati attraverso i case history commentati, verrà offerta qui una presentazione sintetica del nostro modello sotto forma di «istruzioni per l’uso», rimandando ad altri testi per gli ulteriori approfondimenti teorici e tecnici (Nardone, Mariotti, Milanese, Fiorenza, 2000; è OK si RIFERISCE a“la terapia azienda malata]; Milanese, Mordazzi, 2007; Nardone, 2009).
Sequenza riassuntiva delle fasi del problem solving strategico (PPS)
PROBLEMA/OBIETTIVO
DEFINIRE IL PROBLEMA
Cosa è effettivamente il problema, chi ne è coinvolto, dove si esprime, quando appare, come funziona. Dare una descrizione il più dettagliata possibile, in termini logici e analogici, in modo tale da «partire dopo per arrivare prima».
ACCORDARE L’OBIETTIVO
Una volta definito il problema, si descrivono i cambiamenti concreti che, una volta realizzati, porterebbero ad affermare che il problema è risolto. Ovvero, si definisce l’obiettivo da raggiungere, in termini sia logici che analogici. Questo è il secondo passo di un processo di problem solving strategico.
ANALISI E VALUTAZIONE DELLE TENTATE SOLUZIONI
La terza fase è rappresentata dall’individuazione e valutazione di tutti i tentativi fallimentari messi in atto finora per risolvere il problema in questione. Questa è la fase cruciale di studio della soluzione che parte, non a caso, dalla valutazione di tutte quelle già tentate ma che non hanno avuto successo. Si tratta del costrutto centrale del PSS, quello di tentata soluzione che, se non funziona ma viene reiterata nel tempo, tende a mantenere il problema e a complicarne il funzionamento.
TECNICA DEL COME PEGGIORARE
Una volta individuate le tentate soluzioni, si procede ponendosi la seguente domanda: «Se io volessi volontariamente e deliberatamente far peggiorare la mia situazione anziché migliorarla, cosa potrei fare o non fare? Cosa potrei pensare o non pensare? Quali sarebbero tutti i metodi o le strategie che, se adottate, porterebbero a un sicuro fallimento nel mio progetto?»
Questa tecnica si ispira all’antico stratagemma cinese: Se vuoi drizzare una cosa, impara prima come storcerla di più.
TECNICA DELLO SCENARIO OLTRE IL PROBLEMA
Oltre alla tecnica presentata, per essere ancora più concretamente focalizzati sull’obiettivo da raggiungere abbiamo formalizzato un’altra tecnica innovativa: immaginare lo scenario ideale al di là del problema.
Si tratta di domandarsi quale sarebbe lo scenario, riguardo alla situazione da cambiare, una volta che il problema fosse completamente risolto o, nel caso di miglioramenti da ottenere, che l’obiettivo fosse completamente raggiunto. In altri termini, la persona deve immaginare quali sarebbero tutte le caratteristiche della situazione ideale dopo aver realizzato il cambiamento strategico.
TECNICA DELLO SCALATORE
Di fronte a un problema complesso da risolvere, al fine di costruire una strategia efficiente oltre che efficace, risulta utile partire dall’obiettivo da raggiungere e immaginare lo stadio immediatamente precedente, poi lo stadio precedente a quest’ultimo, sino a giungere al punto di partenza: in questo modo si suddivide il percorso in una serie successiva di micro-obiettivi che tuttavia prendono avvio dal punto d’arrivo per risalire al primo passo da compiere. Questa strategia mentale apparentemente controintuitiva permette di costruire agevolmente la sequenza di azioni da realizzare per risolvere il problema, partendo dal più piccolo ma concreto cambiamento possibile.
AGGIUSTARE IL TIRO PROGRESSIVAMENTE
Talvolta i problemi sono così complessi da richiedere non una sola soluzione, ma una sequenza di soluzioni. Come nel gioco delle scatole cinesi o delle matrioske russe, aperta la prima se ne trova un’altra al suo interno, dentro la quale ce n’è un’altra ancora e così di seguito fino all’ultima. Di fronte a situazioni di questo tipo è fondamentale evitare di voler affrontare insieme tutti i problemi, iniziando invece dal più accessibile. Una volta risolto il primo problema si passa al secondo e così via, senza mai perdere però la visione d’insieme e delle interazioni possibili tra le concatenazioni di problemi.
SOLUZIONE
Per definizione il PSS può essere applicato a qualunque tipologia di problema e ad ambiti decisamente diversi fra loro, tra i quali persino quello della ricerca empirica. Quest’ultima ha infatti costituito il fondamento metodologico per la messa a punto delle numerose forme specifiche di intervento terapeutico e di comunicazione strategica sviluppate presso il nostro Centro e applicate con successo a migliaia di casi clinici e a centinaia di casi manageriali.
Tale logica si differenzia dalle logiche tradizionali per la sua caratteristica di mettere a punto le tecniche di intervento sulla base degli obiettivi prefissati e delle specifiche caratteristiche del problema affrontato, piuttosto che sulla base di una rigida teoria precostituita da rispettare. Nell’approccio strategico evoluto, infatti, il presupposto fondamentale è la rinuncia di qualsiasi teoria forte che stabilisca a priori la strategia di intervento. Da questa prospettiva è sempre la soluzione che si adatta al problema e non viceversa, come avviene nella maggioranza dei modelli di intervento tradizionali.
Al problem solver strategico non interessa conoscere le verità profonde e il perché delle cose, ma solo «come» farle funzionare nel modo migliore possibile. La sua prima preoccupazione è quella di adattare le proprie conoscenze alle «realtà» parziali che si trova di volta in volta ad affrontare, mettendo a punto strategie fondate sugli obiettivi da raggiungere e in grado di adattarsi, passo dopo passo, all’evolversi della «realtà» su cui si interviene.
Abbandonando la rassicurante tesi positivista di una conoscenza «scientificamente vera», nell’intervento strategico ci si occupa, infatti, di individuare i modi più «funzionali» di conoscere e agire, ovvero di condurre l’individuo alla «consapevolezza operativa». Ciò significa lasciare in secondo piano la ricerca delle cause degli eventi, per concentrarsi sullo sviluppo di una sempre maggiore capacità di gestire strategicamente la realtà che ci circonda e raggiungere così i propri obiettivi: saranno proprio le soluzioni efficaci a spiegare le matrici dei problemi risolti.
Pertanto la domanda sul «perché» viene sostituita con quella sul «come funziona». Chiedendosi «come funziona» una certa situazione, infatti, si evita di andare alla ricerca delle cause e dei «colpevoli», focalizzandosi, invece, sulle modalità che mantengono un determinato equilibrio e su come questo possa essere modificato. Ciò significa orientare l’osservazione sulla persistenza di un problema piuttosto che sulla sua formazione: infatti è solo sulla persistenza di un problema che si può intervenire. Chiedersi «come funziona» orienta l’indagine sulla ricerca del cambiamento nel presente, mentre domandarsi «perché» conduce a ricercare le spiegazioni in un passato che in ogni caso non può comunque cambiato.
Rinunciando alla pretesa di una conoscenza a priori dei fenomeni oggetti di studio, il problem solver strategico deve avere a disposizione un «riduttore di complessità» che gli consenta di cominciare a intervenire sulla realtà da modificare e di svelarne così, progressivamente, la modalità di funzionamento. Tale riduttore è stato individuato nel costrutto di «tentata soluzione».
Come indica il filoso della scienza Karl Popper (1972, 1976), quando si inciampa su un problema, per economia mentale si tende a far ricorso all’esperienza riproponendo interventi risolutivi che in passato hanno funzionato per problemi analoghi. Di fronte all’insuccesso di tali strategie, poi, piuttosto che ricorrere a modalità di soluzione alternative, si tende ad applicare con maggior vigore la strategia iniziale, nell’illusione che fare «più di prima» la renderà efficace. Questi tentativi di reiterare una stessa soluzione che non funziona nel presente, ma che aveva funzionato nel passato, alla fine innescano un complesso processo di retroazioni in cui sono proprio gli sforzi in direzione del cambiamento a mantenere la situazione problematica immutata o a complicarla ulteriormente. Da questo punto di vista possiamo affermare che le «tentate soluzioni diventano il problema» (Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974). Pertanto è lo studio delle soluzioni applicate che ci fa conoscere il problema e le sue modalità di persistenza, ovvero come questo si alimenta grazie agli effetti dei tentativi disfunzionali di risolverlo. Con le parole di Giorgio Nardone: «Si conosce un problema attraverso la sua soluzione» (Nardone, Portelli, 2005).
Quando un sistema si trova in questa situazione è invischiato in un «gioco senza fine»: il sistema stesso e i suoi componenti sono parte attiva del problema e solo un cambiamento introdotto dell’esterno, che guidi a modificare il modello disfunzionale, rappresenta una soluzione concreta al problema.
La prima cosa che il problem solver dovrà fare, quindi, sarà individuare le «tentate soluzioni» che il sistema e gli individui implicati hanno messo in atto finora per raggiungere un dato obiettivo o per modificare una situazione ritenuta disfunzionale. L’intervento strategico si occuperà di rompere, nel modo più efficace e rapido possibile, il meccanismo autopoietico stabilitosi tra le tentate soluzioni e la persistenza di un equilibrio disfunzionale, per poi condurre alla costruzione di un nuovo equilibrio persistente funzionale.
Nei capitoli che seguono cercheremo di rendere il più chiaro e concreto possibile ciò che è stato qui esposto in maniera schematica. Ma prima di procedere ci sembra cruciale mettere in risalto il fatto che, per applicare con efficacia il modello di PSS, è necessario non solo il «sapere», bensì anche il «saper fare», ovvero la capacità di comunicare agli altri e a se stessi consentendo di evadere dalla trappola degli schemi mentali e comportamentali.
Per questa ragione nel testo sarà data ampia spiegazione anche della comunicazione strategica.
PROBLEM SOLVING STRATEGICO
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COMUNICAZIONE STRATEGICA
Logica di problem solving e comunicazione rappresentano le due anime dell’approccio strategico; non può esistere problem solving strategico senza una comunicazione strategica, e viceversa. Poiché il primo rappresenta il metodo che guida l’intervento, la seconda è il veicolo che ne permette l’applicazione. Il linguaggio, i gesti e le azioni, sono il bisturi del problem solver che, se usato con precisione chirurgica, può condurre a esiti straordinari; viceversa, se usato senza maestria non sarà possibile operare alcun cambiamento chirurgico.
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