«Nulla esiste che non possa essere curato con le parole.»
Antifonte
Questo Dizionario internazionale di psicoterapia è il primo tentativo di sistematizzazione dell’ampia materia delle problematiche psicologiche. Frutto del lavoro di un team di oltre 360 esperti italiani e stranieri, l’opera raccoglie le diverse scuole di psicologia e psicoterapia, tracciandone il profilo storico e sottolineando i punti di forza delle varie terapie.
Una raccolta completa di termini, temi, problematiche e tecniche della cura psicoterapica.
Più di 900 voci e approfondimenti completi dei paradigmi e dei concetti chiave della psicoterapia
una voce dall’Opera:
PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO STRATEGICO
In psicoterapia breve strategica modello Nardone, modello di intervento clinico, specifico per un determinato tipo di disturbo, composto da > strategie e tecniche specifiche, organizzate in una sequenza progressiva di stadi terapeutici (> fasi della psicoterapia) con peculiari obiettivi da raggiungere. La formulazione dei protocolli di trattamento rappresenta il passaggio dalla teoria generale sulla formazione e sulla soluzione dei problemi elaborata presso > il Mental Research Institut (MRI) di Palo Alto (> psicoterapia breve modello MRI) a formulazioni specifiche relative al funzionamento di particolari patologie psicologiche e della loro soluzione in tempi brevi. I protocolli di intervento sono infatti costituiti da una sequenza pianificata di procedure tecniche in grado di adattarsi e autocorreggersi (> autocorrettività) sulla base dell’evolversi dell’intervento stesso in modo che l’azione terapeutica presenti sistematicità e rigore a livello di struttura, ma anche flessibilità ed elasticità a livello di applicazione diretta. La loro messa a punto presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, a opera di Nardone e dei suoi collaboratori, è iniziata studiando una prima casistica (i disturbi fobico-ossessivi) e sperimentando empiricamente in maniera sistematica e rigorosa quali interventi producessero effetti e quali fossero le > tentate soluzioni ridondanti che venivano infrante. A questa prima > ricerca-intervento, ne sono seguite altre su altri tipi di disturbi, come quelli alimentari, sessuali, depressivi e il disturbo post-traumatico da stress. Durante la costruzione di un protocollo di trattamento, una volta abolite le tecniche meno efficaci, vengono selezionate quelle dimostratesi capaci di produrre effettivi cambiamenti e ne vengono messe a punto altre ex novo. Nel momento in cui una soluzione “calza” al problema e produce effettivi risultati, si cerca di adattarla e ripeterla su un numero più elevato di casi. Solo le tecniche che continuano a produrre cambiamenti, quando replicate su più problemi dello stesso tipo, vengono considerate empiricamente efficaci. Con questo metodo, a poco a poco si cerca di selezionare le tecniche più adatte per i particolari tipi di problemi, mettendole all’interno di una sequenza prefissata e ipotizzando possibili varianti, in modo tale da ottimizzare al massimo l’> efficacia e l’> efficienza dell’intervento, facendolo letteralmente “calzare” al problema. Gradualmente, per affinamenti e addizione di varie manovre, e “scremature” successive, si giunge alla costruzione di una prima, ordinata sequenza di possibili mosse e contromosse: una strategia. Questa strategia rappresenta il protocollo di trattamento del particolare disturbo studiato. Per essere ritenuto valido, un protocollo di trattamento strategico deve presentare particolari caratteristiche: efficacia superiore al 70%, efficienza media inferiore alle 20 sedute, > replicabilità, > trasmissibilità, > predittività e autocorrettività. Quest’ultima caratteristica è garanzia della salvaguardia dell’unicità dell’individuo e fa sì che i protocolli prevedano delle possibili varianti. Sulla base delle singole risposte del paziente alle prescrizioni, infatti, il terapeuta sceglie sempre la via più proficua tra alcune possibili: è sempre il modo in cui il paziente reagisce a guidare la scelta tra varie opzioni di mosse successive. Un secondo principio di autocorrezione completa e amplia il primo: la capacità del terapeuta di cambiare strategia quando quella applicata non funziona. Un protocollo di trattamento rappresenta quindi un modello di > problem-solving costruito ad hoc per > patterns ridondanti a livello di struttura del problema, che però necessita sempre di essere adattato alla irripetibilità di ogni singola persona e contesto. In virtù del suo essere predittivo, ossia capace di anticipare le possibili evoluzioni dell’interazione terapeutica, il protocollo permette così una costante e continua autocorrezione del modello di intervento sulla base degli effetti rilevati fase per fase. [F. Cagnoni, R. Milanese]
BIBLIOGRAFIA. Cagnoni F., Milanese R, Cambiare il passato, 2009; Muriana E., Pettenò L., Verbitz T., I volti della depressione, 2006; Nardone G., Paura, panico, fobie, 1993; Id., La dieta paradossale, 2007; Nardone G., Rampin M., La mente contro la natura, 2005; Nardone G., Verbitz T., Milanese R., Le prigioni del cibo, 1999; Nardone G., Watzlawick P, L’arte del cambiamento, 1990; Watzlawick, P., Weakland, J.H., Fisch, R. Change: Principles of Problem Formation and Problem Resolution, 1974.
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